Benzema ed El Ghazi accusati di avere rapporti con Hamas

Karim Benzema il 17 ottobre dello scorso anno riceveva il pallone d’oro tra gli applausi di tutta la Francia, Macron in testa. L’ex Real Madrid parlò apertamente di pallone d’oro del popolo facendo chiaro riferimento alle sue origini algerine e a quelle di gran parte del popolo transalpino. I calciatori originari dei paesi ex colonie francesi hanno dato e danno tantissimo allo sport d’oltralpe, calcio in testa. Peccato che al di fuori di questo ambito spesso ci si dimentica dei figli del colonialismo lasciandoli alle loro vite difficili ai margini della società nelle banlieu. Hanno fatto scalpore le dichiarazioni del ministro degli interni francese Darmanin che ha pubblicamente accusato il pallone d’oro in carica di avere rapporti con i Fratelli Musulmani. Quasi in contemporanea la Bundesliga ha sospeso il marocchino El Ghazi per un suo post pro Palestina.

I russi esclusi dal calcio e privati della bandiera

Questa stretta connessione tra sport e guerra coinvolge già gli atleti russi sin dall’inizio del conflitto in Ucraina. UEFA e FIFA hanno escluso i club russi e la nazionale da tutte le competizioni internazionali. in altri sport, come ad esempio il tennis, è prevista la partecipazione degli atleti russi, ma senza bandiera e senza riferimento alla cittadinanza. Inutile dire che il provvedimento e la russofobia che ha causato negli ultimi anni hanno creato non pochi problemi a questi atleti. Spesso infatti sono stati subissati di fischi e in molti casi non hanno ricevuto l’abituale stretta di mano dell’avversario al termine degli incontri come se fossero loro la causa della guerra.

Questa forma di discriminazione verso Benzema ed El Ghazi è inaccettabile

Portare nell’ambito del calcio e dello sport in generale questa forma discriminatoria nei confronti di chi non è allineato al pensiero unico corrente, l’unico considerato accettabile, è molto grave. Benzema ed El Ghazi hanno mostrato apertamente il loro sostegno al popolo palestinese, ma non hanno fatto nulla di così grave per meritarsi certe attenzioni censorie. È vero che sarebbe stato preferibile lasciare fuori dal calcio la questione israelo-palestinese, ma è anche vero che mostrare sostegno umano per una popolazione che sta vivendo sofferenze atroci al pari del popolo israeliano non è da considerarsi un reato. La libertà, di cui tanto si parla in ogni momento, non consiste nel dire e pensare quello che vuole la classe dominante. La libertà consiste nel poter esprimere le proprie idee, anche le più radicali se non arrecano danno ad altri.

È ora di dare un calcio all’ipocrisia e al pregiudizio, almeno nello sport

Almeno nello sport, che dovrebbe essere basato sul rispetto del prossimo e sulla solidarietà, sulla bellezza delle mescolanze delle diverse etnie e nazioni, il cosiddetto spirito olimpico, non dovremmo vivere discriminazione e pregiudizio. Se si dovesse continuare con questa ipocrita forma di pregiudizio estendendola ad altri atleti sarebbe gravissimo. Stiamo parlando dello stesso ambiente nel quale dei ragazzi poco più che ventenni scommettono addirittura sulla squadra nella quale militano e vengono difesi da club, opinione pubblica e federazioni. In quel caso si ricorre al paracadute della ludopatia, nel caso dei calciatori che per le loro origini, la loro cultura e la loro sensibilità hanno espresso pubblicamente un pensiero o una preghiera per un popolo martoriato si ricorre solo ad esclusione e pubblico ludibrio. Più che mai in questo momento così difficile per l’intera umanità è necessario dare un calcio ad ogni forma di pregiudizio.

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Piero Capobianco
Piero Capobianco nato a Napoli il 1/9/1977, laurea in filosofia. Collaboratore TerzoTempoNapoli.com

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