Cesare Prandelli, allenatore, ha rilasciato una lunga intervista a DAZN, dove ha parlato anche del Napoli.Queste le sue parole:

Un desiderio, Prandelli, che può essere considerato come una sorta di appello?

“Assolutamente, perché credo si stia prendendo una strada sbagliata. -afferma Prandelli – E più passa il tempo, più sarà complicato porre rimedio. Penso al modo in cui il nostro sistema stia puntando sui giovani: ci rendiamo conto che stiamo correndo il rischio di negare ai bambini la possibilità di sognare?”.

In particolare, a cosa si riferisce?

“A certe idee che ostacolano i vivai, alla finalità che viene attribuita al percorso nei vivai: com’è possibile che con ragazzini di 10-12 anni si lavori sulla tattica? La storia l’ha fatta e la farà sempre il talento, non il sistema di gioco. -prosegue Prandelli – Che non dico non serva, ma fino a una certa età bisogna lasciare spazio esclusivamente alla fantasia, al divertimento, al talento. Non ‘ingabbiamo’ i nostri ragazzi dietro a noiosi esercizi tattici. In questo modo, facciamo solamente il loro male”.

Può fare un esempio per spiegare questo concetto?

“Recentemente sono andato a vedere una partita di mio nipote di 8 anni. Nella squadra avversaria c’era un bambino che aveva un mancino incredibile e mi creda: non capita tutti i giorni di vedere certe giocate a questa età. -aggiunge Prandelli – L’allenatore, piuttosto che lasciarlo libero e spingerlo a cercare la giocata, il dribbling, la conclusione, piuttosto che semplicemente lasciare spazio alla sua imprevedibilità, gli chiedeva un certo tipo di movimento, come se lo stesse ‘telecomando’. Le sembra una cosa normale?”.

Il problema, quindi, nasce anche da qui

“Certo. Chi lavora con i giovani deve avere una missione molto chiara: il talento viene prima di tutto. Vincere uno Scudetto o un Viareggio può fare piacere, ma non deve mai essere l’obiettivo principale. -sottolinea Prandelli – Lanciare un giovane in Prima Squadra deve essere l’assoluta priorità: chi non lo capisce, è meglio che cambi mestiere. Se limitiamo il talento, il nostro calcio è finito. E non credete a chi dice che in Italia non ce ne siano: il nostro Paese ne è pieno, basta cercarli”.

Secondo Prandelli a che età si dovrebbe introdurre la tattica?

“Non prima dei 14 anni. Fino ad allora contano divertimento e tecnica, bisogna insistere sulle qualità tecniche del ragazzo. -spiega Prandelli – Ai miei tempi capitava che il movimento tattico si capisse naturalmente, senza qualcuno che te lo spiegasse: non serviva nemmeno stare sul campo ore e ore a provare e riprovare. Oggi in Serie A TIM succede di vedere degli errori tecnici banali: penso non serva chiedersi il motivo”.

Per migliorare la situazione del calcio italiano, quale altro passo considera necessario?

“Investire nel settore giovanile, non c’è altro modo. Lo ripetiamo da 20 anni, ma ancora non ci siamo. -ribadisce Prandelli – Se economicamente non possiamo competere con gli altri Paesi, quale deve essere la strada? Servono coraggio e fantasia: solo così possiamo colmare o diminuire il gap con gli altri campionati”.

C’è qualche giovane che ha particolarmente impressionato Prandelli?

“Tanti, non serve fare nomi. -puntualizza Prandelli – Siamo competitivi in tutte le Nazionali giovanili, nonostante il negativo Europeo dell’Under-21. Inoltre, Maurizio Viscidi (coordinatore delle Nazionali giovanili maschili, ndr) è una garanzia. I problemi sono altri e ne stiamo parlando”.

Il bravo allenatore è quello che si adatta alle caratteristiche dei calciatori per farli rendere al meglio?

“In generale è così, ma ci sono casi e casi. Prenda il Napoli, che a un certo punto ha rinunciato contemporaneamente a Koulibaly, Insigne e Mertens. Cos’ha fatto la dirigenza? Ha cercato dei sostituiti con caratteristiche simili, poi Spalletti è stato bravissimo ad allenarli sul campo adattandoli al proprio calcio. Il Napoli è un esempio corretto di come si debba programmare”.

Parlando di allenatori emergenti, chi sarà il prossimo top della panchina?

“Thiago Motta, zero dubbi: è un predestinato. -ritiene Prandelli – Già in campo era un giocatore-allenatore. Ha personalità e propone un calcio propositivo, ma sa qual è il suo più grande merito? Non è un integralista, sa cambiare in base a vari aspetti. Bene anche Palladino e Dionisi, mentre Italiano è ormai una garanzia”.

Eppure, quelli esperti e vincenti, ci sono ancora

“La carta d’identità non conta, a patto che tu riesca a rinnovarti.-afferma Prandelli – E gente come Sarri e Gasperini l’ha sempre fatto. E non posso non citare Ancelotti, uno che ha vinto tutto e ovunque: dopo il Napoli lo davano per finito, per ‘bollito’. Dopo sappiamo tutti ciò che è riuscito a fare. In Italia, nei giudizi, non c’è mai equilibrio”.

Negli anni il calcio è cambiato, anche grazie alle idee di Guardiola: Prandeli non trova che il gioco “moderno”, per alcune squadre, sia anche una forzatura controproducente?

“In Italia alcune squadre sono retrocesse proprio per questo: si sono snaturate. Posso pensare di proporre un certo tipo di calcio, ma devo chiedermi: ho gli uomini per poterlo fare? Il City è una squadra incredibile in cui il centrale di difesa può fare il regista e i terzini possono giocare sulla linea degli attaccanti, ma parliamo del City. -riferice Prandelli – Se non ho certi elementi, perché insistere? Al mondo esistono delle squadre e dei calciatori unici, che anche volendo non possono essere mai copiati”.

A lei, Mister Prandelli, cosa manca di questo mondo?

“Il campo, la quotidianità, la preparazione dell’allenamento e della partita, la crescita dei ragazzi… Il contorno, invece, no. Sono sereno e mi godo la famiglia, mi sento realizzato e felice”.

Conclude Prandelli

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