non la si abbandona alla deriva ma bisogna avere le spalle larghe per indossarla, sudarla ed onorarla
mai sola

Leonardo Mantovani, ex responsabile scouting del Napoli, ha rilasciato un’intervista esclusiva ai microfoni di Radio Napoli Centrale in cui ha svelato diversi retroscena di mercato e ripercorso la sua carriera.

La definizione di scout nel mondo del calcio

“Io comincerei col dire che il termine scout ormai è poco adatto a quello che è effettivamente il lavoro che noi facciamo all’interno delle società. Se andiamo a tradurre letteralmente la parola ‘scout’, andremmo a parlare di esploratore, quindi andare in territori sconosciuti per trovare qualcosa che non si conosce ancora. Quando fai colui che deve ricercare giocatori di altissimo livello, nel caso del Napoli, in realtà si tratta non tanto di andare a scoprire giocatori che non si conoscono, quanto di andare a selezionare dei giocatori che si pensano possano essere adatti e ad analizzarli. Da lì bisogna capire se sono i giocatori giusti per le necessità del club e dell’allenatore, cosa si aspetta quest’ultimo da quel calciatore inserito nel contesto della squadra”.

Il retroscena di Mantovani sull’arrivo di Osimhen, gli obiettivi erano Mazraoui e Tagliafico

“A me capita di vederlo in una partita che era Ajax-Lille di Champions League. Ma in realtà noi eravamo andati a vedere gli esterni bassi dell’Ajax, Mazraoui a destra e Tagliafico a sinistra. Tornando indietro io faccio il mio report della partita e dico che c’erano altri due giocatori forti: uno era Soumaré, un centrocampista, e Osimhen. Questo attaccante che correva tantissimo e copriva tutto il reparto e forse correva anche troppo (ride, ndr). Ma era veramente imprendibile. I terzini erano forti, però dico anche che in quel momento Osimhen non era il giocatore che faceva al caso nostro. In quel periodo giocavamo con Mertens centravanti che cuciva il gioco, voleva palla sui piedi, faceva da raccordo mentre Osimhen si muoveva in modo completamente diverso. Prendiamo Osimhen dopo la vittoria della Coppa Italia con Gattuso. Era subentrato ad Ancelotti e credeva che quella squadra fosse un po’ timorosa e preferisse giocare un po’ più basso. Ci chiese il centrocampista centrale davanti alla difesa e ne prendemmo due, Lobotka e Demme. Alla fine così la vinciamo la Coppa Italia in una stagione un po’ sfortunata. Nella preparazione dell’annata successiva, Gattuso ci dice che, visti i risultati, vuole continuare a giocare in questo modo. A questo punto serve un attaccante che può sfruttare spazi, profondità e che abbia corsa. Andando a rivedere tutti gli appunti torna in mente Osimhen e ci rendiamo conto che si tratta del giocatore adatto a noi, che chiede il mister”.

L’arrivo di Lobotka

“Lo conosco da quando giocava nella Nazionale slovacca Under 17, giocava in un 4-4-2 e faceva il mediano a due. Quando lo andammo a vedere in Spagna lui giocava spesso mediano in un centrocampo a quattro, quindi era uno dei due centrali. Ma nella relazione fatta io avevo scritto nelle caratteristiche che secondo me poteva anche essere un play. Devo dire che questa cosa Cristiano Giuntoli me l’ha sempre riconosciuta. Ciò che avevo scritto aveva contribuito quindi al suo convincimento di aver trovato il giocatore giusto”.

Mantovani: il ruolo di Giuntoli nel Napoli 

“Non penso che si possa dire che Giuntoli fosse solo un raccordo tra squadra e società. Noi eravamo un gruppo e si lavorava tutti insieme, poi ognuno aveva le proprie responsabilità e il proprio ruolo. Ma i giocatori venivano comunque analizzati tutti insieme. E’ chiaro che Giuntoli era il direttore sportivo e aveva il rapporto con il presidente e l’amministrazione e in qualche modo l’operazione la portavano avanti loro”.

La squadra costruita per vincere lo Scudetto

“La verità è che nessuno poteva dire in quel momento che avremmo vinto lo Scudetto in quel modo. Non dimentichiamoci com’è stato vinto. Noi sicuramente eravamo convinti che quelli arrivati fossero degli ottimi calciatori. Il mezzo dubbio non era tanto sul calciatore ma sulla resa. Torniamo al solito discorso: il giocatore è bravo, lo vediamo tutti quelli che seguono il calcio, ma la vera bravura sta nel trovare il giocatore giusto che svolge quel lavoro, che è funzionale alle richieste dell’allenatore, alle caratteristiche e a ciò che gli altri giocatori possono fare quando sono tutti insieme. Di Kvaratskhelia la nota che avevo fatto era: ‘questo è un ragazzo di grandissimo talento, se il mister gli fa capire che un dribbling di troppo manda fuori giri Osimhen, è un giocatore straordinario'”.

Il decimo posto dell’anno scorso 

“Diciamo che forse certe scelte hanno fatto sì che le cose non funzionassero bene. Non mi sembra il caso di tirar fuori colpe o situazioni individuali. C’è stato un meccanismo che non ha funzionato, però bisogna dire che il presidente è stato bravissimo. Perché a un certo punto ha capito che le cose non andavano e ha deciso di cambiare strategia, tutto. Oggi vediamo i risultati. De Laurentiis ha avuto ragione anche stavolta. Ho una grande stima nei suoi confronti”.

La commozione di Mantovani in occasione della vittoria dello Scudetto

“Si parlava durante l’anno dello Scudetto che Napoli fosse una città scaramantica, poi apparirono tutti quei numeri ‘3’ in giro. Sembra che la scaramanzia sia stata sdoganata. Non nominiamo nulla, ma il Napoli ha tutte le qualità per arrivare fino in fondo. L’emozione della vittoria è enorme, è un bellissimo ricordo che conserverò per sempre. Vedere l’emozione vera in tante persone che normalmente hanno un’altra vita o hanno soddisfazione da altre situazioni o addirittura non ne hanno, vederli così commossi… Con una commozione sincera, che non è quella del ragazzino, o del ragazzo giovane che non sa cosa farà da grande. Ma parliamo di gente che aveva già il suo spessore e la loro vita alle spalle, vederli così è stato un trasporto molto bello. Mi rimane ancora dentro”.

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