Totti Spalletti
Foto: Eurosport

Francesco Totti, ex calciatore della Roma e della nazionale Italiana, ha rilasciato un’intervista al “Corriere della Sera”. Queste le sue parole:

Tutto è cambiato con Sacchi?

”Vedi, il dieci era un giocatore diverso dagli altri dieci. Era uno che doveva correre meno ma sfruttare ogni occasione di talento: un assist, un tiro al volo, un dribbling difficile. Doveva essere lucido, sempre fresco. Per questo il dieci tornava di meno. Sacchi portò tutti a rientrare in difesa. E questo fece sparire lo spazio tecnico per il dieci considerato come il fulcro della squadra, l’elemento di sorpresa. Il calcio si è fatto più organizzato, ma meno sorprendente”.

Francesco Totti, tu sei stato un leggendario numero dieci. Ti dispiace sia un genere in via d’estinzione?

”Sono spariti perché ora è un altro calcio. È un’altra visione, un altro modo di giocare. Ora prevale il fisico sulla tecnica. Nel tempo in cui giocavo io c’erano sempre, in ogni squadra in Italia o all’estero, uno o due giocatori di altissimo livello. C’erano uno o due numeri dieci potenziali. Insieme facevano il numero venti. Saremo stati fortunati, ma il calcio era più bello”.

Quanto contano i «gregari» dei numeri dieci?

”Per me sono più importanti i gregari dei numeri dieci. Nei novanta minuti sono loro decisivi. Senza gli uni non ci sarebbero gli altri. Pensa a Platini senza Bonini, a Rivera senza Lodetti. Gregario è una bellissima parola, non solo nel ciclismo o nel calcio. Tutti siamo gregari di qualcosa o di qualcuno, nella vita”.

Oggi vedi un numero dieci nel calcio mondiale?

”No, non esiste più. Si è estinto, quel ruolo. E infatti non trovo una squadra che mi entusiasmi. Ma ti ricordi il Real Madrid, il Barcellona, il Liverpool, l’Inter del triplete…”.

Quali sono le doti che deve avere?

”Tecnica, ovviamente. Ma soprattutto la velocità di testa. Se tu capisci le cose prima degli altri, se vedi i movimenti dei compagni di squadra, se tocchi la palla una volta meno del necessario, tu hai già fatto il tuo, da numero dieci. Spiega Totti, direi che questa è la caratteristica: vedere prima e fare prima. Io ero fortunato perché avevo Perrotta, Delvecchio, Di Francesco che sapevano e capivano come giocavo io e, a loro volta, sapevano dove avrei messo la palla. Lo sapevano prima, anche loro. Se uno ha talento, cioè anticipa il normale, tutta la squadra gira più veloce”.

Chi era il più forte che hai incontrato?

”Per me, sentimentalmente, era Giannini. Mi piaceva perché era il capitano della Roma, era il mio idolo, giocava davanti alla difesa e sapeva guidare tutta la squadra. Volevo diventare come lui, da bambino. Tra quelli con cui ho giocato direi Zidane. Era completo, aveva tutto. Tutti forti, ma ognuno diverso. Prendi me e Del Piero. Uguali e opposti. Lui più veloce nel dribbling, calciava a giro. Io mettevo le palle di prima, senza pensarci, d’istinto. Ognuno aveva la sua dote che lo ha reso, anche nella memoria dei tifosi, unico. Unico perché irripetibile”.

Spalletti. Ha dimostrato, di nuovo, di essere un grande allenatore. Vuoi dire qualcosa che chiuda la polemica tra voi?

”Se lo incontrassi lo saluterei con affetto, mi farebbe piacere. Credo che tra noi ci sia un profondo legame. Anche perché quello che abbiamo passato insieme, quando arrivò da Udine, è per me, nella mia vita, qualcosa di irripetibile. Sia in campo che nel quotidiano. Io uscivo una o due volte a settimana con lui a cena. Luciano era una persona piacevole, divertente, sincera. Nella fase finale il nostro rapporto è stato condizionato dall’esterno, specie dai dirigenti o consulenti della società, e non ci siamo più capiti. Anche io ho fatto degli errori, ci mancherebbe. Credo che tutti e due, se tornassimo indietro, non entreremmo più in conflitto”.

Conclude Totti

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