Il calcio sta morendo sotto i colpi dei petrodollari arabi
Il calcio sta morendo e nessuno sta provando a salvarlo. Sappiamo bene che la caratteristica delle cose di questo mondo è l’impermanenza. Tutto e tutti siamo soggetti allo stesso processo, ogni cosa ha un inizio, uno sviluppo e una fine. A darci l’ennesima conferma dello stato terminale dello sport che amiamo è stato Marcelo Brozovic, che ha appena concluso un contratto con l’Al-Nassr che gli frutterà 100 milioni in tre anni. Ormai il campionato italiano assomiglia sempre di più ad un bue macellato rispetto al quale i club arabi vengono a turno a prendersi le parti migliori.
Gli addetti ai lavori e i calciatori dal canto loro si nascondono dietro ad un ipocrita “era un’offerta irrinunciabile”. Si proprio gli stessi che si inginocchiano prima delle partite in nome del Black lives matter e si imbrattano la faccia di rossetto per sostenere la lotta alla violenza sulle donne si fanno comprare dall’Arabia Saudita. Si proprio quel paese dove i diritti sono un dettaglio irrilevante.
D’Amico e il calcio passionale
La memoria è importante soprattutto nei momenti in cui si perde la bussola del buonsenso. Mi è sembrato naturale quindi aggrapparmi al ricordo di un manipolo di antieroi del calcio, che forse sono stati gli ultimi romantici, gli ultimi che hanno amato per davvero questo sport.
È notizia di pochi giorni fa la prematura scomparsa di Vincenzo D’Amico, uno che il calcio lo ha amato davvero. Il suo talento era al totale servizio del piacere personale e del divertimento del pubblico. Era uno che amava la vita soprattutto e viveva il calcio così come ha attraversato la sua esistenza, senza dargli un peso maggiore di quello che era necessario. Nonostante ciò gli è capitato di trovarsi, giovanissimo, a vincere uno scudetto storico in quella squadra di insubordinati e irregolari che era la Lazio del 1974.
Quando il calcio era romanticismo e poesia
Mi piace ricordare in questi giorni paradossali anche sltre figure considerate minori che hanno allietato le folle, e reso straordinario il calcio italiano. Ezio Vendrame, il George Best italiano, Gianfranco Zigoni, l’eterno ragazzo che crede in Che Guevara e Padre Pio, Alviero Chiorri, un Rimbaud del pallone che ormai vive da anni a Cuba.
Potrei citarne tanti altri, alcuni quasi sconosciuti, ma voglio fermarmi qui e lasciare a loro la parola.
Ezio Vendrame:
“Il calcio di oggi non esiste, è finto, è acrilico. Al mondo ci sono stati tre giocatori di calcio: Maradona, Zigoni e Meroni. In questo rigoroso ordine, non alfabetico”.
Al Vicenza prendevo 10 milioni di lire e quando andai a trattare l’ingaggio con Janich, d.s. del Napoli, pensai: “Ora lo frego, gli chiedo il doppio”. Quanto vuoi?, mi domandò. Venti milioni, risposi. Firma qua, replicò senza esitazione. Uscii convinto di aver raggirato i napoletani. In spogliatoio scoprii che Ferrandini, un ragazzo proveniente dall’Atalanta, l’ultimo della compagnia, prendeva 60 milioni. Mi sentii lo scemo del villaggio.
Gianfranco Zigoni:
“Sognavo di morire sul campo, con la maglia del Verona addosso. M’immaginavo i titoloni dei giornali e la raccolta di firme per cambiare il nome allo stadio: non più Bentegodi, ma Gianfranco Zigoni. La radio avrebbe gracchiato: “Scusa Ameri, interveniamo dallo Zigoni di Verona…”. Ero pazzo furioso”.
“A me ribolle il sangue quando sento i calciatori lamentarsi. Ueh, ragazzi: andate a fare un giro in miniera. Mio padre si è rovinato i polmoni a furia di lavorare nella fabbrica delle schifezze, uno stabilimento che ha ammazzato tanta gente di questo posto. Mio padre è morto e lui, il padrone, vive in un castello con parco annesso. Queste sono le ingiustizie. Se fosse vivo il Comandante… Io da giovane volevo fare la rivoluzione”.
Alviero Chiorri:
“Giocavo per il pubblico, solo per il pubblico. Godevo quando riuscivo a far divertire la gente, a stupire i tifosi con la giocata più difficile, quasi impossibile”.
“Ho sempre cercato la giocata impossibile e lo facevo perché avevo solo un disegno in testa: far divertire la gente. Appartengo a quella categoria di giocatori che piacciono tanto ai tifosi e molto poco agli allenatori, perché non sanno trovargli una collocazione in campo, quindi se girano bene, altrimenti li fanno dannare. E io li ho fatti dannare tutti”.
“Ho smesso quando ho sentito il peso del tradimento. Tradito da un mondo che forse non era mai stato completamente il mio. Sono sempre più convinto di essermene andato via quando si cominciava a giocare ovunque fuorché in campo. Prima che il calcio diventasse solo mercato e compromessi”.
Il calcio sta morendo. Chi ancora ama questo sport ha il dovere di provare a salvarlo. Per il momento mi piace pensare a Vincenzo D’Amico, col suo sorriso sornione, che fa un tunnel a Brozovic mentre il croato firma il contratto con l’Al-Nassr.