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Piero Capobianco: "Le partite vanno chiuse sempre..."


(A cura di Piero Capobianco)

La partita contro la Salernitana giocata domenica scorsa al Maradona poteva essere il momento ideale per festeggiare la conquista del terzo campionato della storia del Napoli e questo è innegabile; di contro resta il fatto che fortunatamente la classifica che i partenopei hanno costruito durante la stagione permette di rimandare soltanto il momento di un destino praticamente scritto. Da questo punto di vista nulla di drammatico, non possiamo e non dobbiamo chiudere però entrambi gli occhi anche a qualche “però”.

Innanzitutto comincerei col dire che la Salernitana, in quanto società che appartiene al calcio professionistico, non ha fatto nessuno sgarbo al Napoli. Le reazioni dei supporters granata lasciano invece il tempo che trovano, ognuno gioisce delle proprie vittorie e a quanto pare anche dei propri pareggi. Tornando al calcio inteso come disciplina sportiva professionistica, i granata non sono ancora matematicamente salvi, e se anche lo fossero stati, hanno il dovere di dare il meglio di sé in tutte le gare.

A tal proposito è doveroso ricordare che la squadra di Sousa è imbattuta da dieci partite; ha pareggiato con Inter, Milan e Napoli, quindi non possiamo certo dire che qualcuno abbia ricevuto un atteggiamento di favore in campo.

Di contro il Napoli nelle ultime undici gare, tra campionato e champions, ha perso tre volte ( 2 col Milan e 1 con la Lazio) e pareggiato altre tre ( con Verona, Milan e Salernitana). A giustificare questo cambio di rotta dei partenopei potrebbe essere stato il cosiddetto “calo fisiologico”, le performance sconcertanti di alcuni arbitri e gli infortuni di uomini chiave. Tutto vero, ma non analizzare a fondo la situazione potrebbe lasciare la bocca amara a molti in futuro. È vero che chi vince non va discusso, ma, punto primo, formalmente il Napoli non ha ancora alzato nessun trofeo, punto secondo, potrà alzarne solo uno (e non è certo una cosa da poco), ma dalle altre competizioni siamo fuori.

È un dato di fatto che Luciano Spalletti è un vero e proprio foriclasse nel non saper chiudere campionati che, quando non già vinti, si erano messi per il meglio. Non sarà certamente il caso di quello in corso, visto che i punti di vantaggio sulla seconda corrispondono al numero di punti a disposizione fino a fine campionato. Non mi riferisco solo ai campionati buttati via dal 2005 al 2008, quando il tecnico toscano allenava la Roma di Totti e De Rossi (ricordiamo che aveva un'unica competitor, l'Inter), ma parlo anche dello scorso campionato. Dove abbiamo potuto vivere, direttamente, la sua scarsa attitudine a mantenere i nervi saldi nei momenti decisivi. Forse anche questo spiega il fatto che in patria non ha mai vinto nulla di importante. Meglio essere antipatici e sottolineare queste cose, prima che magari fare vuota filosofia tra un anno.

Per quanto riguarda l'ultima sfida di campionato, andrebbe anche evidenziato qualche grave errore passato “inosservato” a molti addetti ai lavori.

Partiamo dagli errori a pochi metri dalla porta che hanno caratterizzato l'ultimo mese di Kvara. Se al georgiano si aggiunge anche l'errore di Lobotka, che, arrivato praticamente a due metri dalla porta, non ha neppure calciato, possiamo dire che già questo spiega il perchè di una mancata vittoria.

Purtroppo ha voluto metterci del suo anche l'allenatore, con le sostituzioni e “piccole” modifiche tattiche, che, anche in questo caso, nessuno ha voluto vedere.

I primi a lasciare il campo, sono stati un ottimo Lozano per Elmas ed un evanescente Zielinski per Raspadori. Mentre qualcuno già chiedeva la beatificazione in vita di Spalletti, visto che pochi attimi dopo i suddetti cambi, Olivera ha portato in vantaggio il Napoli, è stato evidente, agli occhi di chi li usa per guardare, che questa volta non si è trattato di sostituzioni ruolo per ruolo. Anguissa si è abbassato accanto a Lobotka e Raspadori si è chiaramente posizionato da trequartista puro. Si è passati quindi da un 4-3-3 ad un 4-2-3-1. Ed anche questo, spiega le mancanze di alcuni calciatori sul gol del pareggio granata. Il colpo di genio però è stato il cambio Olivera/Juan Jesus. È esattamente in quella circostanza, che si realizzano tutte le variabili che hanno consentito a Dia di fare gol. Juan Jesus (forse pensando ad un improbabile cross in area da una punizione da centrocampo? Forse perchè è abituato a giocare da centrale?) entra e va direttamente al centro della propria area di rigore, accanto a Kim e a Rrahmani. Ne approfitta appunto Dia, che non è nuovo a gol del genere. Questo vuol dire che è un calciatore pericoloso, anche quando parte dalla fascia. Ed in una partita così importante, va marcato da vicino e con la massima concentrazione.

In conclusione possiamo dire, innanzitutto, che le partite vanno chiuse sempre. A maggior ragione quando possono decretare la vittoria di un campionato che manca da 33 anni.

Seconda cosa, che a pensar male si fa peccato ma spesso si indovina. L'allenatore ha voluto regalare i minuti cruciali, di quella che poteva essere la partita scudetto, ai suoi pupilli? Avere una spiegazione calcisticamente razionale da Spalletti è pura utopia. Ma per come vengono trattati coi guanti bianchi e per quanto vengono strapagati, i signori allenatori, una volta ogni tanto, ci farebbero cosa gradita a fare almeno un mea culpa.

A cura di Piero Capobianco

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