Napoli: uno scudetto conquistato con 5 turni di anticipo, uno scudetto sfumato con 6 turni di anticipo per una disattenzione difensiva all’84° minuto contro la Salernitana, ma ora la domanda principe è: “Chi è il maggiore artefice di questo scudetto?”
Ebbene, prima di rispondere a questa domanda andrò ad argomentarla, in modo da condividere il ragionamento che mi ha portato alla conclusione.
Meret veniva da diversi anni a dir poco inconcludenti. Ospina gli ha tarpato le ali in tutti i modi insieme agli infortuni patiti spesso in allenamento. Qualche papera e la stagione che iniziava con le valigie pronte per essere etichettate per la nuova destinazione.
In bilico, tra le voci di mercato che vedevano certi dell’approdo a Napoli Navas e Kepa, poi è rimasto Meret a chiudere la porta con degli interventi che hanno riportato a tutti la memoria del perché fu pagato fior fiori di milioni di euro quando era poco più che adolescente.
Di Lorenzo, il capitano, il capitano silenzioso tra la gente, ma che nello spogliatoio è diventato un condottiero. Ereditare la fascia di Insigne, capitano della nazionale campione d’Europa e del giocatore più forte che la storia del calcio abbia mai conosciuto, l’indimenticato Maradona, non è cosa di tutti i giorni e solo qualcuno con le spalle d’acciaio è in grado di sostenere questo macigno e confermarsi il migliore in circolazione su quella
fascia destra.
Rrahmani il kosovaro che Gattuso aveva etichettato come un comprimario. Il suo ingresso ad Udine, con un passaggio all’indietro un po’ troppo molle. Il passaggio che aveva lanciato a rete Lasagna mascherò la pasta di cui era fatto. Invece le sapienti indicazioni ed allenamenti di Spalletti lo hanno reso lo stopper (per i più giovani il difensore centrale al fianco del libero… vabbè forse troppo lungo da spiegare) in grado di rappresentare l’anima di un città che non molla mai.
Kim, o’pacchet e sigarett. “Ma chi è chist?”, qui si deve sostituire Koulibaly… Dopo solo poche gare c’era già chi rispondeva “Koulibaly, chi?”. Il Ninja sbarcato dalla Corea via Turchia non ha sprecato neanche un giorno, neanche un minuto mettendosi subito a disposizione e facendo vedere le sue qualità.
Colpo di testa, quasi scontato per la sua altezza, velocità, molto meno scontata per lo stesso motivo, anticipo, lettura di gioco, inserimenti in progressione senza disdegnare l’intelligenza di spazzare quando le cose si mettono male. Costruire da dietro e bene, ma non prenderle è meglio. Kim ha saputo sintetizzare tutte le migliori qualità di un difensore moderno e di un tempo e non a caso la difesa azzurra è la migliore del campionato.
Mario Rui, per gli amici “il professore”. Il tanto disdegnato portoghese è un altro dei migliori interpreti del suo ruolo. Grazie all’alternanza con Olivera ha avuto la possibilità di tirare il fiato quando necessario. E quindi di non commettere quelle topiche che gli hanno portato la maggior parte delle critiche in passato.
Con un po’ di fiato in più ha fatto emergere tutta la sua classe ed i tanti assist confezionati non sono certo jolly caduti dal cielo. Il pallone davanti alla porta o lo sai mettere, oppure non sai mettere e lui è un professore in questo.
Aguissa arrivato anche lui in punta di piedi non ci ha messo molto ad imporsi con le sue doti atletiche e tecniche. Un baluardo insormontabile in mediana in grado di capire quando ergersi a frangiflutti e quando martellare in percussione. Tecnica sopraffina che gli ha permesso di gestire palloni complicati in mezzo a tante gambe ed a trovare sempre la migliore soluzione.
Lobotka lo slovacco consigliato Marek che in tanti avevano troppo presto bollato come un “pacco” senza neanche averlo visto all’opera. “Ma se non gioca è perché è scarso!”, può essere, peccato non fosse il suo caso,
magari se non giocava era perché l’allenatore di turno non era in grado di metterlo a suo agio. Spalletti ci è riuscito come una ballerina su un palcoscenico di un teatro.
Gli avversari sono ancora lì a cercare di capire dove sta ilpallone mentre lui, con una delle sue piroette, è passato già alla giocata successiva. Metronomo elegante e preciso, è stato in grado di dettare i tempi di uno scudetto in una maniera che solo i suoi compagni di squadra riuscivano a comprendere.
Zielinski ha vissuto una stagione di alti e bassi, come un po’ suo solito, ma i bassi in questa squadra corrispondono a livelli alti in altre squadre, figuriamoci i gli alti che sono stati stratosferici. Con il polacco in forma si è visto il miglior Napoli. In Italia ed in Europa è stato lui, in alcune gare, ad ergersi condottiero indiscusso. Dribbling imprevedibili, cambi di passo e di direzione da mandare al manicomio gli avversari. Una delizia per gli occhi.
Lozano e Politano camminano a braccetto anche nell’analisi dell’artefice di questo scudetto. Ormai fanno coppia fissa… sembra che si consultino anche sulle mete condivise delle vacanze estive con le famiglie.
La stagione è stata accompagnata dal tormentone: “Dalle caratteristiche degli avversari sarebbe meglio giocasse Lozano con la sua velocità ed intelligenza tattica” e puntualmente Spalletti sceglieva Politano che risultava tra i
migliori. “Secondo me Politano in questa gara può fare la differenza con le sue serpentine ed il suo spirito di sacrificio” e come un orologio svizzero Lozano partiva titolare e era incontenibile.
Kvaratskhelia il georgiano dall’espressione quasi impaurita arrivò in ritiro spaesato, ma dandogli un pallone ha fatto capire subito che le sue doti erano un qualcosa di diverso. Il pallone sempre attaccato al piede. Va
a destra, ma no se ne va a sinistra, ma se ne va con il tunnel.
Una vera forza della natura. All’inizio è stato veramente impressionante stargli dietro con lo sguardo dagli spalti, figuriamoci in campo. Ha servito assist e messo a segno gol che magari qualcuno se li era immaginati alla play.
Sono terminati gli aggettivi per l’artista georgiano, ma sul finire del campionato, a risultato ormai raggiunto sembra stia subendo un po’ il peso di ciò che è riuscito a fare: riportare lo scudetto a Napoli.
Qualcuno dice che lo hanno studiato ed hanno imparato come fermarlo, ma come fai a fermare un temporale? Quando il temporale decide di diventare una pioggerella ti puoi riparare con un ombrello, ma quando il temporale fa il temporale non c’è ombrello che tenga, ti bagni! Ebbene la sensazione è Kvaratskhelia stia subendo un po’ la grandezza delle sue capacità. L’estate gli servirà per acquisire consapevolezza e fare un altro passettino verso la maturazione.
Se Kvaratskhelia è un temporale, Osimhen è un uragano! Il nigeriano non si ferma mai. Corre, corre e poi corre ancora. Non c’è un pallone che con lui, nel raggio di 30 metri, puossa stare tranquillo. Non sai cosa fare? Dai un calcione al pallone alla “viva il parroco” tanto Osimhen ci arriva sempre lui e qualcosa ci esce. La maturazione dell’attaccante è stata a 360°.
Ha imparato anche a gestire l’irruenza che nella scorsa stagione lo ha costretto spesso ai box. La voglia di stupire, di anticipare, di rubare il tempo, di scaraventare il pallone in porta gli ha portato paragoni illustri e non a caso è già nell’olimpo dei migliori attaccanti del pianeta.
Juan Jesus comprimario silente e professionale. Scaricato da qualcuno e accasatosi a Napoli senza velleità, ma solo per dimostrare che con l’atteggiamento professionale poteva dire ancora la sua e lo ha fatto sia nella scorsa stagione che in questa.
Ostigard ha collezionato 5 presenze in campionato per un totale di 237 minuti. Alzi la mano però chi non ricorda la sua partecipazione al trionfo di Glasgow o magari chi non ricorda il suo orecchio in fuorigioco a
Liverpool che valse l’annullamento di quello che sarebbe stato il momentaneo 0-1. Un norvegese tutto d’un pezzo che mai si è tirato indietro dimostrando di poter essere un ottimo elemento.
Elmas sta vivendo una carriera esaltante ed in questa stagione ha dato prova ancora una volta della sua poliedricità. C’è un buco in qualche ruolo? C’è Elams? Si? Allora il buco non c’è. Poi che sia in mediana più tosto che sull’esterno, più tosto che da terzino o anche punta, poco importa, Elmas dà tutto e lo fa sempre bene, non lo abbiamo ancora visto in porta… chissà…
Ndombele è venuto dai palcoscenici importanti d’Europa calandosi in un ruolo da comprimario che non tutti avrebbero accettato. Il francese si è messo a disposizione di Spalletti e, dopo un periodo di rodaggio, è riuscito
anche a far vedere le sue doti mettendo spesso in crisi il mister sulle scelte da fare.
Gaetano, il Napoletano di Napoli, della provincia? Ok, ma con il Napoli dentro. In estate ha rinunciato a fare il protagonista altrove per difendere i suoi colori. A lui Spalletti gli ha concesso veramente poche briciole, ma, queste briciole passate al setaccio hanno portato alla luce un pepita: l’assist confezionato con lo Spezia e per l’importanza di quel gol vi rimando a Raspadori.
Simeone, il ragazzo dagli occhi sorridenti, l’argentino che vuole Napoli. Pochi minuti e gol pesanti. Probabilmente, le vittorie più significative per la sofferenza in campo portano la sua firma. Entrambe le reti del 2-1 a San Siro con il Milan ed al Maradona con la Roma sono state le vocali della parola scudetto.
Nessuna parola italiana si può pronunciare senza vocali e le vocali che ha piazzato Simeone sono di quelle pesanti. Senza contare il primo gol in Champions, e poi il secondo, e poi… il Cholo che ha pianto per Napoli e noi per lui.
Raspadori, l’acquisto più oneroso della campagna estiva, arrivato dopo un tira e molla quasi estenuante con il Sassuolo. Era colui sul quale si faceva, forse, maggior affidamento per il ruolo di sostituto del partente Insigne, ma per ovvie ragioni non è stato così.
Eppure Raspadori il suo zampino lo ha messo e come. Ora hanno tutti negl’occhi la botta al 93° allo Juventus Stadium che ha regalato la gioia dei 3 punti di Torino, ma il centro da 3 fatto negli ultimi minuti con lo Spezia al Maradona è stato altrettanto pesante.
Quella fu una gara difficile affrontata quando il Napoli non era ancora la schiacciasassi che poi si è rivelata. Quella vittoria rappresenta quasi una pietra miliare del cammino che poi è andato a cominciare. Nel mezzo le reti in Champions che ci hanno fatto impazzire nel periodo di assenza di Osimhen scrivendo le consonanti della parola scudetto a completare le vocali di Simeone.
Zerbin era partito bene entrando anche nel giro della nazionale di Mancini poi, però è un po’ uscito dai radar anche se Spalletti gli ha dato maggiore fiducia in Champions che in campionato.
Spalletti, il condottiere, colui che ha saputo tenere tutti uniti verso un obiettivo. I momenti di difficoltà ci sono, ma lui ha saputo essere il cosiddetto “parafulmine”. Ha creato un gruppo, lo ha guidato e lo ha portato alla vittoria. Quado c’è stato bisogno di alzare la voce lo ha anche fatto, senza badare a chi fosse l’interlocutore. I suoi modi educati, pacati, ma decisi e concreti ne hanno fatto il padre di famiglia di questi ragazzi che
hanno raggiunto l’obiettivo.
Starace, Santoro e tutti i professionisti che compongono la società sono stati gli anelli di una catena indistruttibile. Se tutti gli anelli fanno il loro dovere la catena tiene, ma se un anello della catena si spezza la catena non può compiere il suo dovere.
Giuntoli, il direttore che ha messo insieme tutti. L’enorme capacità di scovare il talento dove gli altri non lo vedono. Da quasi un decennio al fianco di De Laurentiis, è riuscito a costruire per poi migliorare, e ancora migliorare, e ancora migliorare la rosa a disposizione degli allenatori che si sono succeduti. Il talento è lì, nella stanza dei bottoni di Castelvolturno.
De Laurentiis il presidente focoso, fermo e incondizionabile, o quasi. Dicono quelli bravi che solo gli stupidi non
cambiano idea, e forse hanno ragione. Questa stagione è stata caratterizzata da una diversa strategia comunicativa del presidente: si è sentito poco sui social e/o in pubblico, ma siamo certi che abbia parlato tanto con i suoi fidati.
Che abbia avuto sempre ragione sulle scelte fatte penso che ora sia chiaro anche al gruppo “A16”, ma che alcune volte abbia avuto un metodo non ottimale di comunicazione penso sia altrettanto chiaro. La ciliegina della pace finalmente raggiunta con i gruppi ultras ha sancito un matrimonio tra squadra e città che
era sostenuto solo dall’amore reciproca, ma minato sempre dall’interno dai litigi familiari. Con il chiarimento delle parti non resta che proseguire felici insieme verso un futuro radioso.
I tifosi hanno dimostrato di amare la maglia e la città. Certo, alle volte hanno dovuto avere il cuore di ferro, con ogni probabilità sono stati sacrificati dei punti, vedi il 4-0 del Milan al Maradona e, forse, anche
la Champions, vedi la sconfitta dell’andata di Champions sempre contro il Milan, ma la pace ritrovata e lo scudetto gettano tutti nella cosiddetta condizione di “cor rint o zuccr”.
Secondo voi, ora, chi è l’artefice di questo scudetto? Ma come, ancora non è chiaro? Ma è ovvio: l’artefice è la collettività.
Tutti insieme abbiamo (mi ci butto dentro anch’io) reso possibile quest’obiettivo in quanto, per raggiungere un tale obiettivo c’è bisogno per forza di comunione d’intenti di tutte le parti in gioco. Lo scudetto è della città, lo scudetto di Napoli e di tutti coloro il cui cuore pompa sangue azzurro e per i quali i colori di Partenope sono i colori della pelle.